Ben tornata Milanesa!

Con questo breve racconto, apparso qualche settimana fa sulla Provincia di Varese, mi piace prepararvi alla lettura del nuovo romanzo dedicato a Michela Borellini, da ieri in libreria. ;-)

Da quando si era stabilità a Napoli, era la prima volta che tornava su. Era eccitata: a Varese nessuno l’avrebbe chiamata la Milanesa, presa in giro per l’accento, indicato tutti i monumenti con la smania di spiegare, di mostrare.
“Tela chi la terunella! Sent adess cuma la parla. Ma te sa regordat anca mo’ ul Garibaldin’?”
Ecco appunto. Ettore, 92 anni e un proiettile saldamente conficcato nel femore, le stava dimostrando che ormai, ovunque sarebbe andata, si sarebbe sentita un po’ a casa e un po’ straniera. Il vecchio partigiano le dava appuntamento sempre in centro, simbolicamente in qualche luogo importante per la storia della città. Invece questa volta, senza nessun preavviso, si era presentato a casa dei suoi, al Gaggianello, dove Michela aveva intenzione di trascorrere quei tre giorni fra le coccole culinarie di sua madre.
C’era stato un omicidio, diceva, una cosa losca. 


Ma la Borellini non aveva letto niente sul giornale, né aveva avuto qualche segnalazione dai suoi ex colleghi varesini. Eppure neanche per un secondo pensò che potesse essersi sbagliato: Michela gli riconosceva una lucidità che lei stessa non aveva avuto neanche a 20 anni.
“Tusa, se avevo ancora le gambe dei miei 70 anni, ci andavo da solo su a vedere. Ma è meglio se ci vai te, che sei più agile. Anche se a Napoli devi aver messo qualche chilo.” Quattro, per la precisione.
Tre giorni prima Leonardo Bruni, un docente di Storia Medioevale dell’Insubria, era stato trovato morto, l’osso del collo spezzato, in casa sua, a sant’Ambrogio. Un incidente, si diceva. Il professore teneva in solaio valanghe di vecchi volumi: secondo la moglie ottantatreenne, che però in quel momento era in cucina, stava salendo usando la scaletta retrattile che portava alla botola, era caduto in malo modo e morto sul colpo. La dinamica era compatibile con la frattura e non sembrava esistere alcun movente per pensare ad un crimine. La polizia stava comunque indagando ma Ettore era certo che tutto sarebbe sembrato in ordine, visto che nessuno sapeva ciò che sapeva lui. Michela lo stoppò di netto mettendogli una mano aperta a 5 cm dalla bocca.
“Senti un po’, signor investigatore, ora non mi dirai che queste cose non le hai dette ai miei colleghi?”
“Certo che non gliele ho dette, alla polizia di qui non conosco più nessuno.” Michela, che nel frattempo aveva accostato, strinse i pugni e la mascella e lasciò andare una specie di ringhio isterico.
“Non c’è bisogno – disse frenando malamente l’irritazione – di conoscere qualcuno di persona per dare informazioni alla polizia.”
“Senti bimba, ho fatto la guerra io. Non ci si può mai… - Ecco, ci risiamo. Michela lo lasciò sfogare, intanto mise la freccia e rientrò in corsia. La villa di Bruni era meravigliosa, tipicamente Liberty. Il giardino, che durante la bella epoque doveva essere quasi un bosco, era stato ripensato per dar luce alla casa e così l’edificio di mattoni rossi e la torretta con la visuale a 360° si offrivano completamente allo sguardo.
Secondo Ettore, Leonardo stava compiendo delle ricerche per dimostrare che, in epoca tardo medioevale, Gian Galeazzo Visconti aveva firmato un documento con cui investiva la famiglia Bruni del diritto di disboscare e coltivare vaste zone di proprietà del Ducato di Milano, tra Sant’Ambrogio e Velate. Sempre secondo Leonardo, nei tre anni successivi alla morte del Visconti, i diritti acquisiti dalla famiglia erano stati revocati con la forza e oggi lo studioso chiedeva che gli fosse riconosciuto un indennizzo.
Michela era allibita, come poteva Ettore preoccuparsi di una bega simile, così lontana dalle sue classiche battaglie. “Infatti a me della questione di Visconti non me ne importa nulla, tanto più che Bruni non avrebbe mai ottenuto neanche una vecchia gallina. Ma se ci mettiamo ad ammazzare la gente per quello che pensa, rifacciamo gli errori che sono stati fatti durante la guerra, e anche subito dopo.” Ettore era convinto che, a furia di scavare, Leonardo avesse trovato qualcosa di pericoloso. Erano stati anni insidiosi per la comunità prealpina. Il rapporto fra Milano e Como era diventato rovente e Varese c’era capitata in mezzo. Qualcuno poteva temere implicazioni nel presente. “Dovrebbe essere uno sciocco.” Obbiettò la Borellini. “Perché, ti stupiresti di incontrarne uno?”
Ettore aspettò in auto e Michela si presentò alla moglie, che non fece obiezioni nel farla curiosare in giro. Effettivamente la scala del solaio non era agevole e questo avvalorava la tesi dell’incidente, in più su non c’era niente di interessante. Michela scese a parlare con la donna. Era disponibile, ma quasi assente, forse inebetita dal dolore. Non aveva visto il marito cadere, ma aveva sentito il colpo dalla cucina e l’aveva trovato morto subito dopo. Se qualcuno l’avesse spinto, pensò il commissario, avrebbe avuto il tempo di scappare dall’ingresso o da una finestra.
Che cosa cercava Leonardo in solaio, aveva a che fare con il presunto documento di Visconti? La donna cambiò espressione, spostò involontariamente il peso del corpo in modo che il busto si trovasse più lontano dalla Borellini, la schiena si irrigidì e le spalle si sollevarono di qualche centimetro. Michela ebbe subito una certezza: la Bruni credeva che nessuno sapesse delle ricerche su Visconti, dalla sua reazione si capiva che ora la presenza della Milanesa la metteva a disagio. La poliziotta però fece finta di non cogliere alcun segnale, salutò e salì in auto. Con la coda dell’occhio si accorse che la donna la osservava dalla porta e cercava di capire chi fosse l’uomo seduto a lato.
In questura la Borellini scoprì che su una cosa Ettore si era sbagliato: la polizia qualche dubbio sull’incidente ce l’aveva e infatti stava indagando. Furono ben felici che un commissario del sud venisse a dargli qualche informazione. Per la verità, il giovane agente siciliano in guardiola ci mise un po’ a capire che quella poliziotta dall’accento nordico era invece un commissario dell’Amalfi di Napoli.
Il vice questore di Varese, donna anche lei, la chiamò di persona 5 giorni dopo, mentre eseguiva l’arresto di un piccolo spacciatore, a Napoli. La moglie di Bruni, inchiodata dai movimenti bancari, aveva confessato. Il marito stava spendendo una fortuna per quelle ricerche, era convinto che una volta dimostrata l’esistenza del documento, sarebbero diventati ricchi. Era un vecchio che perdeva la ragione, disse, ma a farlo interdire ci sarebbe voluto troppo. Invece lei sola, usando il manico ricurvo di un ombrello passato intorno alla caviglia, c’aveva impiegato 30 secondi.
La Borellini chiamò Ettore per dargli la notizia. Quello si limitò a sottolineare di aver avuto ragione, in qualche modo. Ma Michela sapeva che le era grato. Quello che non sapeva era che, meno di un mese dopo, lui le avrebbe restituito il favore. 

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